Michela MURGIA

Michela Murgia

In un contesto maschilista si nasce maschilisti e maschiliste […] Femministe si diventa quando scopri il maschilismo […] quando l’ingiustizia la vivi sulla tua pelle

Ave Mary e la Chiesa inventò la donna. Volenti o nolenti come italiani nasciamo e cresciamo in una cultura cattolica e la sua impronta ce la portiamo dentro, anche quando alcuni decidono di allontanarsene. In molti contesti (sociale, culturale, religioso) il modello di donna proposto (o, forse, dovrei dire imposto) è quello di donna eternamente giovane, bella, madre, sottomessa, devota, mansueta e con “funzione ancillare”. Perché? Una possibile risposta è che la “pietra di paragone” di ogni donna – più o meno consapevolmente – sia costituita niente meno che dalla figura irraggiungibile per il suo grado di perfezione di Maria: madre di un dio fattosi uomo, eppure vergine; giovane donna che ha stravolto la sua esistenza con un “rivoluzionario sì”, diventato pretesto per imporre obbedienza a capo chino al genere femminile; donna dimenticata, tanto che della sua morte nulla si sa, ma che è stata accanto al figlio fino alla fine, quale testimone fedele e sopraffatta dal dolore. Attraverso un esame delle Sacre Scritture (e della loro manipolazione ad arte) e del contesto storico in cui furono redatte, Michele Murgia, cristiana, espone una critica che ha il retrogusto della speranza, quella che anche la teologia possa rivedere la dottrina laddove ha imposto alle donne “secoli di rassegnazione e sottomissione in nome di Dio“.

Chirù. Chirù (violinista) chiede a Eleonora (attrice) di poter diventare suo allievo. Per lei non sarebbe la prima volta, ma il trauma subito dopo la morte prematura del suo ultimo “discepolo” (Nin) sembra farla tentennare. Accetta, tuttavia, seguendo il suo istinto e hanno così inizio le lezioni (ciascuna corrispondente ai capitoli in cui è suddiviso il romanzo). Eleonora è una donna di quasi 40 anni, single e senza figli, che vuole trasmettere ciò che ha imparato nella propria vita a chi resterà dopo di lei e, soprattutto, che nutra il sincero desiderio di aver cura della sua eredità. L’erede designato è Chirù, di soli 18 anni, scelto perché in lui riconosce qualcosa di sé: “odore di cose marcite che gli veniva da dentro, perché quell’odore era lo stesso mio“. Il divario di età e l’essere di sesso opposto potrebbero ingenerare in molti (sia nel romanzo sia nella realtà) il sospetto che tra i protagonisti scorra una certa tensione sessuale. Che vi possa essere anche un’implicazione di tale natura è quasi inevitabile, ma è solo un filo sottile, quasi impercettibile. Quello che invece traspare con chiarezza è la sete di conoscenza di uno e di vita dell’altra. Ho trovato poco realistico (forse perché non frequento ambienti “sofisticati”) che un violinista scelga un’attrice come propria “istruttrice di vita”; avrei considerato più verosimile, infatti, se entrambi fossero appartenuti al medesimo ambito artistico/professionale. Escluso questo aspetto, se l’idea di un mentore che prende sotto le proprie ali un allievo è invalsa da tempo immemorabile, la circostanza che tale ruolo sia rivestito da una donna potrebbe far arricciare il naso a molti (sia nel romanzo sia nella realtà). Ma perché deve essere così fastidiosa l’idea che possa esistere una madre e non solo un padre “spirituale”?

STAI ZITTA e altre nove frasi che non vogliamo sentire più. Forse per le molteplici ragioni esposte con intelligenza e ironia nell’ultimo lavoro di Murgia. Proporne una sinossi sarebbe oltre le mie capacità, perché il risultato potrebbe essere non solo inutile, ma anche fuorviante: quando viene affrontato un problema come il maschilismo, così variegato nelle forme e nei contesti in cui è manifestato, il ragionamento e le considerazioni che ne possono derivare non possono ridursi a poche righe (e, probabilmente, non sarebbe sufficiente un libro intero…). Invitando perciò alla lettura, mi limito a riportare uno dei passaggi che ho trovato più interessanti: “Per ogni mio bagaglio di interesse o competenza pubblica ho incontrato almeno un uomo che non lo possedeva e che ha comunque cercato di spiegarmelo. Il mansplaining, parola resa al meglio in italiano in «minchiarimento», è proprio questo: una pratica sessista di superiorità paternalistica esercitata da qualunque uomo che, in una discussione con una donna, si metta a illustrarle in modo accondiscendente e semplificato, dando per scontato che lei ne sappia meno di lui anche quando ci sarebbero abbastanza elementi per supporre il contrario. Il minchiarimento è un atto molto facile da riconoscere per le donne che conosco, ma resta ancora oscuro anche ai più benintenzionati tra i miei amici maschi. Esso non definisce qualunque argomentazione portata da un uomo in una discussione con una o più donne presenti, ma solo quella che è visibilmente frutto della combinazione tra il suo eccesso di sicurezza, la sua mancanza di competenza e la sottovalutazione di quella altrui. Ad articolare il concetto è stata la scrittrice Rebecca Solnit, la quale, pur non avendo inventato il termine, lo ha reso popolare con un libro che sul tema resta miliare. Il minchiarimento si presenta in tante forme, che vanno dalla facilità di interruzione quando a parlare in una conversazione è una donna fino allo spiegone non richiesto, di solito premesso dalla frase «Magari non ti è chiaro…» (pagg. 89-90).

Ave Mary – Chirù – STAI ZITTA

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