UOMINI COMUNI

Polizia tedesca e «soluzione finale» in Polonia

di Christopher R. Browning, Piccola Biblioteca Einaudi, p. 258, Euro 19,00

Uomini comuni

Quando lo storico Carlo Greppi ha citato (non ricordo se in un libro o nel corso di un dibattito) questo saggio, ne ho preso nota e alla prima occasione l’ho acquistato nella speranza di aggiungere un altro tassello nella mia personale ricostruzione degli eventi della II Guerra Mondiale. Browning (n. 22.05.1944) è docente di storia presso la Pacific Lutheran University di Tacoma (Washington); la “soluzione finale” e l’Olocausto sono stati oggetto di molti suoi studi e questo saggio, in particolare, pubblicato per la prima volta nel 1992 (1995 in Italia), si concentra sul Battaglione 101, composto per lo più da riservisti (quindi, non militari di professione), e sul contributo reso dai suoi componenti nella realizzazione della “soluzione finale” in Polonia.

Seguendo un preciso ordine cronologico, quello che lo storico vuole esaminare non sono tanto gli eventi (dato oggettivo), quanto le cause che hanno portato degli uomini comuni (ordinary men) a commettere efferate azioni allo scopo di ottenere un territorio germanico Judenfrei (libero da ebrei). Cosa poté trasformare padri di famiglia, operai, artigiani, imprenditori in “volenterosi carnefici” di Hitler? Di fronte alle due opzioni diametralmente opposte (stavano obbedendo agli ordini nel rispetto della gerarchia militare e i tedeschi erano tutti antisemiti), Browning cerca di tracciare una strada più saggia vagliando le possibili molteplici concause.

La responsabilità penale è personale, per cui ciascuno deve rispondere delle proprie azioni: se uccidi centinaia di uomini, donne e bambini indifesi, non puoi giustificarti né con la legittima difesa né affermando di non sapere cosa stessi facendo. Tuttavia, anche questo principio deve fare un passo indietro di fronte a un aspetto che a volte sociologi, storici e politici trascurano (volutamente o per ignoranza), ossia il contesto. Non bisogna, infatti, dimenticare che gli eventi sconvolgenti di quel periodo e le atroci violenze perpetrate a scapito degli ebrei (e non solo) hanno avuto luogo durante la guerra e sotto un governo dittatoriale (Hitler e democrazia sono due opposti che non si sono mai attratti). Questa la premessa generale (e doverosa) per comprendere lo scenario in cui questi uomini, arruolatisi come riservisti nella Polizia proprio per evitare di dover partecipare alle nefandezze del fronte, si sono visti improvvisamente catapultati nel cuore della “soluzione finale”.

A tutto ciò, si aggiunga che veniva perpetrato un costante indottrinamento, non solo e non tanto per inculcare il sentimento antisemita, quanto per giungere alla “dissimulazione dell’altro“, allo scopo di rendere possibile “il necessario distacco psicologico che rendeva facili le esecuzioni”. E dove la psicologia falliva soccorreva l’ingente quantità di alcolici messa a disposizione dal governo tedesco, perché i fumi dell’alcol potessero rendere meno reale quel brutale, quotidiano versamento di sangue innocente. Non che tutti fossero uguali: se alcuni condividevano il pensiero di Hitler nella speranza di riscattarsi dagli esiti della I Guerra Mondiale e affermare una vaneggiata superiorità di razza, altri diventavano assassini perché volevano far carriera, perché rispettosi fino all’estremo dell’autorità e/o perché trovavano insopportabile essere la pecora nera del gruppo, il codardo. Ma accanto a tutti loro, i “resistenti”: coloro che quando gli era offerta la possibilità si facevano esonerare dall’incarico di scorta e/o uccisione del “nemico”; quelli che se non controllati, sparavano in aria o giravano la testa dall’altra parte per non vedere bambini che fuggivano; quelli che si dileguavano, qualunque fosse l’ordine, sebbene malvisti dai commilitoni, ma – a quanto risulta dalla documentazione esaminata da Browning – mai puniti seriamente.

A conclusione di questa interessante e dettagliata disamina, una postfazione altrettanto notevole, in cui, partendo dagli scritti di Daniel Jonah Goldhagen (che ha fortemente criticato il lavoro di Browning), vengono esaminati i metodi di ricerca e di selezione delle fonti da parte degli storici, nonché gli esperimenti sociali svolti per comprendere cosa possa trasformare un uomo comune in un disumano assassino a ripetizione.

È successo. Può succedere ancora.

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